Come la Serenissima indicò la strada alle giovani Democrazie occidentali.
In questi giorni in cui si vocifera insistentemente di nuove elezioni vale la pena di ricordare in quale modo sia avvenuta, per gran parte della storia della Serenissima, l’elezione del doge. Il sistema elettorale veneziano era tutto meno che semplice: radunato il Maggior Consiglio e allontanati i membri al di sotto dei trent’anni, si mettevano nell’urna tante palle (in veneziano ballotte, sfere che venivano utilizzate all’uopo, trenta delle quali dorate) quanti erano i presenti. Chiamati uno per volta, a ciascuno veniva consegnata la ballotta estratta di volta in volta da un ragazzo detto balotin del doxe, scelto a caso in Basilica di San Marco dal consigliere più giovane e da un capo della Quarantia, che successivamente godeva il privilegio di entrare nella cancelleria, compiuti i quindici anni. Primi elettori rimanevano i trenta cui era toccata la sfera dorata. Mano a mano che a ognuno di loro toccava la sfera, i loro parenti e congiunti uscivano, sì che non vi fosse – tra i trenta – nessuno della stessa famiglia.
Un sistema che garantiva la massima trasparenza: rimesse nell’urna nove palle d’oro e ventuno d’argento, si estraevano i nove che dovevano nominarne quaranta, fra i quali si sorteggiavano i dodici che dovevano eleggerne venticinque; un nuovo sorteggio di nove di loro portava all’elezione di altri quarantacinque, dai quali si traevano a sorte gli undici che nominavano i quarantuno veri e diretti elettori del doge (che dal 1553 in poi dovettero essere anche approvati, uno a uno, dal Maggior Consiglio). A elezione avvenuta, il nuovo doge veniva presentato al popolo con le parole: “Questo xe missier lo Doxe, se ve piaxe”.
Quando sul finire del Settecento le giovanissime democrazie statunitense e francese dovettero dotare il loro paese di un sistema elettorale, rivolsero le loro attenzioni all’unica democrazia – sebbene imperfetta – allora conosciuta. Ecco perché il sistema elettorale del Presidente degli Stati Uniti, attraverso il sistema delle “primarie” (e la presenza dei “grand electors”) reca ancora tracce del modello di elezione del doge, così come l’urna elettorale si chiama “ballott box”. Anche il termine elettorale francese “ballottage” (così come l’italiano ballottaggio) ha la stessa derivazione.
Se i veneziani hanno affinato nei secoli un sistema di votazione, potevano non inventare anche la maniera di poter imbrogliare? Del vocabolo “broglio”, in italiano, si dice di ogni intrigo che sia in particolare legato a una votazione o all’elezione di un personaggio in maniera scorretta. Ebbene, la derivazione della parola sarebbe tutta veneziana, e deriverebbe da Brolio (o anche Brolo), l’antico luogo di ritrovo alberato e frondoso che si trovava tutt’attorno ai portici di Palazzo Ducale (in realtà tutta la Piazza aveva anticamente questo nome, che comunemente era inteso come orto, giardino). Qui si sono sommati, nei secoli, intrighi, umiliazioni e promesse fra i candidati a qualche ufficio elettivo tra i rappresentanti del Maggior Consiglio, che si presentavano ai colleghi “calando stola”, ossia ponendo sul braccio il bàtolo, componente dell’abbigliamento che in genere si portava sulla spalla, rendendo palese a chi gli stava davanti la loro disponibilità a contraccambiare un voto favorevole. Atti che avvenivano pubblicamente, appunto, nel Brolio, e che tra i veneziani erano definiti dunque brogio e brogiar.
Gazzettino, 18 gen 2014