Calle del Carbon si chiama così perché in passato vi si trovavano numerosi magazzini dell’allora indispensabile combustibile. Ma non solo… nel raccontare un curioso aneddoto avvenuto in questo luogo sul finire del 1760, Gasparo Gozzi racconta anche che qui abitavano “in certe casipole terrene le più sozze e vituperose uccellatrici degli uomini”. Prostitute di bassissima lega con cui ebbe a che fare un sacerdote a dir poco singolare. Quando si dice che l’abito non fa il monaco…
Si rappresentava in quei giorni al Teatro di San Luca “La Casa Nova” di Carlo Goldoni, e un prete si era incuriosito al punto da voler assistere a uno spettacolo. Sebbene non vi fosse nulla di male, stabilì che vi si sarebbe recato in maschera, per non dare adito a critiche tra i suoi parrocchiani. Si fece dunque prestare un abito da un amico, fece arrivare una gondola davanti a casa sua, e mentre il gondoliere lo portava verso il teatro, si cambiò a bordo nascosto dalla discreta cortina del felze, la classica copertura.
Una volta sceso ordinò al gondoliere di aspettarlo fino alla fine dello spettacolo. Ma dopo più di un’ora, e con la prospettiva di trascorrerne almeno altre due in attesa, il gondoliere in preda alla noia non trovò di meglio che scambiarsi anch’egli d’abito, e indossati i panni del prete iniziò a gironzolare, entrando in un locale dopo l’altro.
Più tardi, ubriaco fradicio, fece il suo ingresso in calle del Carbon, dove le prostitute stavano davanti alle porte delle loro casette, e iniziò a improvvisare un sermone: “O fracide, o corpi datisi al mondo, quando vi pentirete voi di questa vita universale? Ben è questa calle detta del carbone, perché voi siete veramente carboni accesi […]; contuttociò io vengo a voi qual fratello a sorelle…” e continuò così per un bel pezzo, chiudendo man mano che gli si scaldava l’anima ogni frase con qualche parola imparata nei traghetti, di quelle che un fratello non direbbe mai a delle sorelle.
Le donne, che a quel parlare si accorsero che il prete non era ciò che sembrava, iniziarono ad adeguarsi al linguaggio di quest’ultimo, con una veemenza tutta femminile. Lo strepito fu tale da attirare un manipolo di birri, il cui comandante avvicinò il gondoliere-prete: “Oh vergogna – gli disse il poliziotto, che l’aveva scambiato per ciò che il vestito gli suggeriva – che voi state qui a quest’ora di notte ad azzuffarvi con le cantoniere del paese! Andate, andate, in nome del cielo!” “Ah, misero me – rispose il gondoliere, sempre più ubriaco e dentro la parte – che tu vieni a interrompere la più bella emendazione di costumi che io abbia mai fatto. Non vedi tu come queste baldracche piangono e come siano vicine al pentimento? Vai dunque, e lasciami compiere il mio ufficio”.
Ma il birro, infine, notò che il prete aveva un cappello da gondoliere. Da qui a trasferirlo in carcere per smaltire la sbornia fu tutt’uno. Il vero sacerdote, uscito da teatro, entrò nell’imbarcazione, ma non trovò né il gondoliere né i suoi vestiti. Aspettò finché in giro non rimase quasi nessuno, e poi si risolse ad andare a svegliare un suo amico che abitava poco distante, e a farsi ospitare per la notte. Il mattino successivo, fu costretto a mandare qualcuno a fargli prendere dei vestiti nuovi, e tutta la sua discrezione fu in un attimo appannaggio dell’intera città.
Alberto Toso Fei
Gazzettino 10 novembre 2012
Un altri picolo anedoto apportato da Gigi Zanon, anzi: un pezzo di storia recente. Il rivestimento interno dalla trattoria al carbon è stato tolto dalla sala ufficiali della corazzata austriaca Teggethoff. Essa si era consegnata, con le altre navi, come preda bellica all'Italia ed erano tutte entrate in bacino S. Marco. Queste navi furono messe all'asta per poi essere demolite. L'allora proprietario del locale al carbon acquistò l'intera sala ufficiali della Teggethoff e rivestì il suo locale. Da qualche parte, non ricordo esattamente dove, c'è ancora la targa con una iscrizione austriaca.