Sul ponte de la Latte, che a uno dei capi di rio Marin unisce i Sestieri di Santa Croce e San Polo, si racconta un fatto curioso avvenuto nel 1844 e legato alla vicina Scuola Grande di San Giovanni Evangelista, narrato – oltre che da una pubblicazione coeva (la “Cronaca della Lumetta”) e da Agostino Sagredo – anche dallo storico veneziano e amante delle curiosità veneziane Giuseppe Tassini. Per molte sere consecutive, sul ponte si accalcò una grande folla, per assistere a un fenomeno straordinario, impressionante e inspiegabile: dalle nove a mezzanotte, a un finestrone della Scuola di San Giovanni Evangelista appariva un lumicino fioco, uno spettro di luce tremante che spingeva la gente a fare ogni genere di congetture. Si parlava di stregoneria, di diavoli, di apparizioni di morti. Siccome lì vicino era stata uccisa da poco una donna, soprannominata la Brocchetta, in molti giuravano che quella fosse l’anima dell’assassinata che tornava nei luoghi dell’omicidio perché finita in mezzo ai tormenti, e di come – rimanendo attentamente in ascolto (cosa non facile, tra la calca che si creava sul ponte) – la si potesse addirittura sentire gemere e sospirare.
Alla fine il fatto non poté fare a meno di attirare l’attenzione della polizia (si era ancora sotto il giogo dell’impero austro-ungarico) che in quattro e quattr’otto decise di far sgomberare il ponte, per controllare in quale maniera si producesse quel fenomeno a dire il vero inquietante. Nemmeno il più sapiente degli appostamenti, però, portò ad alcun risultato apprezzabile: nessuno, dunque, si stava prendendo gioco di nessun altro.
Fu allora che i birri pensarono bene di farsi un giro in barca nel canale sottostante. Fu solo allora che ci si accorse di un piccolo lume che ardeva dentro l’abitazione di povera gente, che abitava sull’altro lato del canale, di fronte alle alte mura della Scuola, e che utilizzava quella fioca luce notturna per lavorare fino a tardi, e così sbarcare il lunario. Semplicemente, la luce della casa si rifletteva sul lastrone di San Giovanni Evangelista, senza che ciò fosse intuibile dal ponte. Fu così brillantemente risolto il caso del fantasma del ponte de la Latte.
Il nome del ponte, così curioso con quella declinazione al femminile, pur essendo “latte” una parola di genere maschile nella lingua italiana, si spiega col fatto che nell’antica lingua veneziana il latte (come “la fantasma”, per altri versi) era una parola di genere femminile.
La cronaca ci richiama il ponte anche per un fatto che davvero cruento che vi avvenne il 31 agosto del 1505: qui infatti furono tagliate le mani a uno dei tanti albanesi che abitavano in città: l’uomo era colpevole dell’uccisione di un capo delle guardie, di nome Zuan Marco. Dopo che fu avvenuto il taglio delle mani (che per tradizione avveniva sul luogo dove era stato commesso il delitto), e prima di essere portato in Piazza San Marco per essere decapitato e squartato, l’uomo si avvide della presenza della moglie, e mostrò il desiderio di volerla baciare. Una volta approssimatosi alla donna, però, l’omicida le staccò un pezzo di naso con un morso: a quanto si venne a sapere più tardi, la vera istigatrice del delitto sarebbe stata lei.
Alberto Toso Fei
Gazzettino 24 novembre 2012