IK-00
The Spaces of Confinement
A cura di Katerina Chuchalina

Casa dei Tre Oci
Giudecca, Zitelle
7 giu - 24 ago 2014
Tutti i giorni 10.00 – 19.00, venerdì 10.00 – 21.00
Chiuso il martedì
Tel. +390412412332
info@treoci.org
La splendida dimora Casa dei Tre Oci (tre grandi occhi, i finestroni archi-acuti), magnifico esempio di architettura neo-gotica di inizio '900 realizzata dall'artista Mario De Maria, proprietà di Polymnia Venezia, società strumentale della Fondazione di Venezia, è da sempre una vera e propria casa della cultura, cenacolo di artisti e intellettuali di passaggio.

Riflessioni sull’architettura dell’esclusione, storie di violenza e resistenza, la sintassi spaziale di prigione come una miscela distorta di fantasia e realtà che si espande oltre lo spazio espositivo, generando in pubblico un forte senso di angoscia, soffocamento e claustrofobia.
Artisti: Rossella Biscotti, Sam Durant, Harun Farocki, Valentin Fetisov, Ashley Hunt, Rebecca Lazier, Conor McGrady, Mikhail Nesterov, Markus Schinwald, Jonas Staal, David Ter-‐Oganyan, Michael Tolmachev, Ines & Eyal Weizman, Donovan Wylie, Urban Fauna Lab, Arseniy Zhilyaev.
La mostra è un progetto collettivo internazionale, in cui gli artisti sono stati chiamati a riflettere sull’architettura dell’esclusione, alla ricerca di modi diversi per documentare e testimoniare gli spazi istituzionali destinati a punire e talvolta a correggere gli individui attraverso la loro separazione dal resto della società.
Prigioni, manicomi e altri istituti correttivi sono in costante evoluzione dal punto di vista ideologico, strutturale e architettonico. Come nasce uno spazio di reclusione? Come può essere testimoniato? In che modo esso può essere documentato e visualizzato? Gli artisti in mostra riflettono su questi spazi di costrizione, reclusione e isolamento i cui meccanismi funzionali restano dietro al visibile, complice una linea spazio-temporale che li separa dalla vita al di fuori. Tuttavia, questo non vuol dire che tali spazi abbiano un’esistenza totalmente svincolata dal nostro quotidiano. La loro costruzione genera una serie di schemi psicologici complessi che fanno parte della condizione umana di ognuno di noi.
Il filosofo e sociologo inglese Jeremy Bentham ideò un nuovo modello di prigione circolare, che chiamò Panopticon. Il principio del Panopticon, basato sulla sovraesposizione dei prigionieri in contrasto con lo sguardo invisibile dei loro sorveglianti nascosti all’interno della torre, ha ispirato tra gli altri Michel Foucault, come spunto per analizzare le relazioni tra il potere e la conoscenza. Il film di Harun Farocki, Prison Images, utilizza come medium i dispositivi dei sistemi di sorveglianza stessi, insieme con cavigliere elettroniche e altri strumenti di localizzazione, nel tentativo di demistificare in qualche modo l’interiorità sia degli spazi segregati delle carceri sia di coloro che vi sono detenuti. Altri artisti in mostra esplorano il corpo all’interno di uno spazio chiuso. Nella sua danza di ricerca, Rebecca Lazier ricostruisce le ripetizioni quasi rituali dei movimenti all’interno di una prigione, mentre Valentin Fetisov crea un’esperienza socio-psicologica esprimendo il deprimente ventaglio di scelte che si prospettano all’individuo per un ipotetico riscatto.David Ter-Oganyan sposta una normale traiettoria nello spazio forzando il visitatore a seguire una strada contorta, recintata da transenne metalliche usate normalmente per incanalare e tenere sotto controllo le folle.
È possibile ritrovare il clima duro della prigione nella sua integrazione con il paesaggio circostante. Le prigioni spesso agiscono come ricordo visuale dell’occupazione coloniale o di altre istituzioni del potere dominante, come avviene nei disegni di Conor McGrady. Il paesaggio ostile e il clima rigido in cui sono state costruite alcune prigioni possono agire come ulteriore mezzo di separazione dal mondo esterno, abitabile, e allo stesso tempo scoraggiare la fuga verso di esso.
Michael Tolmachev indaga le politiche di rappresentazione e documentazione, concentrandosi sui territori remoti della prigione “naturale” dei primi campi Gulag, mentre i disegni di alcuni prigionieri dei campi in età sovietica, con quei pochi paesaggi superstiti, sono insieme opere d’arte e testimonianze del tentativo di affrontare i muri invisibili di massima sicurezza del paesaggio circostante. Arseny Zhilyaev, nell’opera Save the light, mette in relazione la dualità tra mondo poetico immaginario e tragica realtà narrativa. Le tele, esposte per lunghi periodi alla luce del sole filtrata attraverso una finestra di prigione, attribuite ad un poeta ed artista dell’avanguardia russa che passò venti anni in un Gulag staliniano, sono collegate al caso di un militante, arrestato nel 2012 durante le sommosse popolari aMosca, la cui vista è drasticamente peggiorata nel reparto di pre-detenzione dove è stato rinchiuso.
La mostra ha luogo nell’isola della Giudecca a Venezia dove, nelle immediate vicinanze, si trova il carcere femminile, che partecipa attivamente alla vita cittadina locale. Rossella Biscotti ha raccolto da alcune carcerate i ricordi dei loro sogni, e ha creato un’installazione audio che si propaga all’interno della mostra.

Casa dei Tre Oci: scalinata

Casa dei Tre Oci: termosifone
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